• QUANDO /16 Ottobre 2016
  • A CHE ORA /20:30
  • TICKET /Evento gratuito
  • DOVE /Four Rooms Bistrot, Foligno
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Enrico Merlin ''Jazz e Frontiera''

Forse il Jazz è la musica che più di ogni altra racchiude in sé i principi dell’esplorazione di territori sconosciuti, non solo perché l’improvvisazione (coerente metafora del viaggio verso l’ignoto) è presente in molte delle sue espressioni stilistiche, talvolta parte integrante, ma anche perché sin dalla sua genesi si è configurata come forma musicale nata dall’incontro di culture. Le barriere nazionali sono abbattute e gli stili culturali endemici contribuiscono a creare inediti panorami sonori a partire dall’inizio del secolo scorso.

Nel corso della storia, il Jazz ha intrapreso percorsi evolutivi anch’essi imprevedibili. Non sempre cioè in modo lineare e ordinato. La creatività, soprattutto in determinati periodi storici, si è diffusa come un’incontrollabile inondazione, occupando nuovi spazi e a volte (s)travolgendo il passato. In altri momenti, per contrasto, questa musica sembrava aver perso la forza propulsiva e dove gli alvei precedentemente ospitavo una dimostrazione di forza inarrestabile, ora vi erano invece placide distese lacustri, se non acquitrini maleodoranti. Ma poi, all’improvviso, il fiume si gonfia di nuovo e un nuovo cambiamento è in atto. Oggi, malgrado quello che alcuni «passatisti» innamorati più della forma che della sostanza vorrebbero farci credere, il movimento è in atto, più attivo e stimolante che mai.

Nel sottosuolo si nascondono falde acquifere rigogliose, pronte a defluire da nuove sorgenti, ma il processo di cementificazione culturale procede senza pietà. Il sistema attuale, più che in passato, cerca di non far emergere ciò che potrebbe mettere in evidenza una realtà estremamente vitale e, ripeto, stimolante. Si tracciano confini politici e orografici, stilistici e di genere, ma la musica viva non risponde a quelle regole. Come il fiume, dal più piccolo rivolo di montagna alle grandi vie fluviali della pianura, travalica i confini che gli vengono imposti e, alla peggio, semplicemente li supera con assoluta noncuranza. La frontiera assume quindi un significato assai diverso dal termine «confine». Mi verrebbe da dire che i due lessemi sono in qualche modo paragonabili al concetto di «rovine» e «macerie», i cui due significati non potrebbero (o meglio non dovrebbero) essere intercambiabili.

Per le rovine proviamo (comunque) un senso di ammirazione, per le macerie la frustrazione prevale. E indubbiamente il confine è per certi versi un termine, non solo nell’accezione di tracciatura geografica; esso è infatti anche spesso cornice invalicabile delle proprie capacità, curiosità, impermeabile all’influsso esterno, quindi contraddizione assoluta dell’essenza del Jazz. La frontiera, nell’accezione americana (ove il Jazz si è, almeno inizialmente, sviluppato) è sinonimo di territorio inesplorato ove trovare nuovi stimoli attraverso l’incontro con nuove culture, nuovi spazi, ove l’unione con nuovi affluenti rende il fiume principale sempre più grande, potente e inarrestabile.

Questo dovrebbe essere il Jazz oggi, non la musica priva di vita, bacheca autoreferenziale di stilemi triti e ritriti dai contorni muffiti, che spesso viene spacciata come il verbo nella maggior parte delle rassegne nazionali e internazionali.

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